giovedì 15 dicembre 2011

La bellezza

Quante volte ci siamo persi in contemplazione davanti ad un’opera d’arte o ad un magnifico tramonto? Il bello ci fa sentire bene, ci sentiamo in pace con noi stessi. Ammiriamo e non pensiamo che alla bellezza che stanno pregustando i nostri occhi.

Bello.

Per secoli, e forse più l’uomo si è interrogato su cosa sia il bello, se sia soggettivo o oggettivo.

"La bellezza salverà il mondo"

Questa è una delle frasi più celebri della letteratura mondiale , fatta pronunciare da Dostoevskij al protagonista de L’Idiota, il principe Miškin che aveva appunto una fiducia smisurata nel potere dell’arte. Ma quella che può sembrare un’affermazione semplicistica era invece il riflesso di un’intera epoca, di un passaggio alla modernità che voleva superare le vecchie idee e valori universali per ricostruire tutto. Che sia vero oppure no la bellezza è fondamentale nella vita dell’uomo.


“La bellezza delle cose esiste in chi osserva.”
Parola di David Hume.

Oggi quasi tutti la pensiamo così, e a confermalo ci sarebbero anche gli studi del dottor Semir Zeki, neurobiologo dell'University College di Londra che da anni cerca di rispondere a domande fondamentali sull'essenza umana servendosi degli strumenti della scienza.

E grazie a questi studi ha scoperto che è davvero così: la bellezza è tutta negli occhi di chi guarda e il nostro cervello possiede un concetto astratto di bellezza. Diversi soggetti sono stati messi davanti a diverse opere d’arte e misurate le loro reazioni neurologiche. Il risultato è che quando erano di fronte a un'opera giudicata bella, si accendeva sempre la corteccia cerebrale orbito-frontale (oltre alla corteccia visiva o uditiva, a seconda che l'opera fosse pittorica o musicale); se l'opera era “brutta”, non si rilevava invece un'attività cerebrale più spiccata in un'area specifica. E c'è pure un altro dato curioso: anche il nucleo caudato, una zona molto profonda del cervello, si attivava di più di fronte a opere belle. Questo nucleo è “acceso” anche dall'amore romantico, a indicare una sorta di correlazione su basi neurali fra bellezza e amore. 

È stata quindi forse trovata una risposta all’antica domanda?

Quindi non può esistere un’opera inderogabilmente bella perché ora sappiamo che la bellezza è solo e soltanto nella nostra mente.

Queste considerazioni diventano allora importanti per noi appassionati d’arte che spesso ci chiediamo cosa possa essere considerato bello nell'arte: lo sono le tele bianche e vuote? Lo sono le installazioni incomprensibili o certe performance che lasciano allibiti gli spettatori? Zeki pare avere una risposta anche a questi quesiti: «Un quadro di Amedeo Modigliani può avere enormi meriti artistici ma non essere “bello”– dice il neuroscienziato –. Praticamente tutto può essere considerato arte, ma l'arte davvero bella è solo quella che accende la corteccia orbito-frontale». Bisognerebbe allora munirsi di una risonanza magnetica e fare un giro alle mostre d'arte: forse avremmo qualche sorpresa. Magari gli artisti tanto quotati sprofonderebbero nell'abisso e altri emergerebbero dal nulla.

Ma c'è ancora un ma... mi domando come mai si accende quella particolare zona per alcuni e per altri no davanti alla stessa opera? Mistero della mente? Del cuore? Vibrazioni assonanti?
Eppure in parte il gusto estetico deriva per noi da varie costellazioni che ci indicano cosa può essere considerato bello. Prendiamo ad esempio un’opera di Van Gogh e portiamola nel duecento? Quanti l’avrebbero considerata bella? Non sarebbero forse stati pronti per quel tipo di bellezza, al contrario per molti le opere del duecento ora sono considerate veri e propri capolavori. Il bello quindi evolve in una scala verso l’alto?

Che cos’è per voi il bello? Inganno dell’anima? Modo della nostra mente per farci avvicinare alle cose a noi più assonanti?

Forse semplicemente il bello è sentire il nostro cuore al sicuro, un miscuglio di emozioni che possono manifestarsi anche nel sublime di una goccia di rugiada.

Il bello per me è una pennellata di colore caduta accidentalmente su una tela o gli occhi del ragazzo che amo... e provare e sentire la bellezza una manifestazione del divino che è in me. 

Non so se sia vero ma io voglio credere che sia così.

martedì 13 dicembre 2011

Io Lionardo

Facendo una breve ricerca sul grande maestro in internet o in una biblioteca potrebbe capitarvi di tutto, dal robot che si accingerà a partire per Marte con a bordo il codice del volo di Leonardo, a strani enigmi presenti nei suoi taccuini, a voci sulla sua omosessualità fino ad arrivare a strani uomini rettile presenti nell’ultima cena. Cose che forse più che accrescere il mito a volte un pochino lo sminuiscono, Leonardo l’uomo che era già una leggenda mentre era in vita una persona  semplice che si dedicava alla sua arte e all’ingegno e  che nella natura trovava la sua vera essenza e fonte di ispirazione. Di Leonardo sappiamo con discreta precisione studi e  movimenti ma nulla sappiamo del suo intimo. Tentiamo allora di entrare nel cuore di Leonardo da Vinci, attraverso quello che possiamo sapere di lui e poi diamo libero sfogo alla fantasia immaginando i luoghi, i gesti, e le persone che costruirono la sua vita.


Fermatevi dunque ad ammirare sinceramente un suo dipinto, senza cercarvi nulla di particolare tranne che il bello. Provate stupore nell’ammirare i rocciosi e oscuri paesaggi delle sue opere, perdetevi nell’affascinante sorriso della Gioconda, nella perfezione angelica e androgina dei suoi volti e chinatevi un poco davanti alla saggezza che traspare dal suo forse unico autoritratto…allora e solo allora potrete sentire la voce di un bambino che correva spensierato.
Avete avuto questa piccola visione? Bene, perché vorrei che con questa dolcezza nel cuore vi dedicaste a leggere questo mio racconto su Leonardo.  L’articolo è stato da me suddiviso nella Vita (in due parti) nelle Opere e nei Misteri, spero rimarrete con me fino alla fine.
Buona lettura


“Del Vinci a suoi disegni et suoi colori
Et moderni et gli antichi hanno paura.”
(Sonetto scritto da un contemporaneo di Leonardo , Bernardo Belliccioni, poeta di corte al servixzio di Ludovico Sforza)





“Nacque un mio nipote, figliulo di Ser Piero mio figliulo, a dì 15 aprile in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo, battezzollo Presepiero Bartolomeo di Vinci alla presenza di ….”

Era bello il piccolo inventore, anzi bellissimo, un bimbo dagli occhi azzurri e i capelli biondi, vivace e curioso del mondo nacque a Vinci, un piccolo paesino di campagna vicino a Firenze lontano dalla frenesia cittadina. Il padre Ser Piero era un notaio che apparteneva ad una famiglia che aveva avuto incarichi di prestigio per la famiglia dei Medici, la madre invece di cui conosciamo solo il nome, Caterina, era  probabilmente una contadina o una domestica, che non potrà mai occuparsi del figlio in quanto troppo povera per poter sposare un uomo in vista come Ser Piero, in questa epoca infatti il matrimonio era solamente un contratto tra parti, volto a portare benefici alle famiglie. Si sposò comunque l’anno dopo con un contadino del luogo, un certo Accattabriga di Piero del Vacca, lo stesso anno invece il padre si sposò in primo matrimonio con una sedicenne Albiera Amadori, una giovane con una buona dote appartenente alla borghesia cittadina, dalla quale però non ebbe figli, alla morte della giovane Ser Piero si risposò e iniziò ad avere un figlio dietro l’altro, dieci in tutto.
Del suo battesimo non sappiamo tantissimo, ma fu sicuramente una cerimonia con tutti gli onori del caso, abbiamo infatti gli scritti del nonno (citati all’inizio) che annoto gli invitati presenti, tra cui non figurava la madre, e le spese per la cerimonia.  Leonardo era dunque un figlio illegittimo. Il fatto che fu  battezzato in chiesa è indice dell’aria liberale e florida che il Rinascimento portava con se, in un altro periodo questo sacramento per Leonardo sarebbe  stato quasi inconcepibile.



Non si sa per certo se i suoi primi anni di vita li trascorse con la madre come molti affermano per poi essere preso in cura dalla matrigna che non poteva aver figli o come più probabile rimase direttamente nella casa paterna. Quello che sappiamo con certezza è che quando  si trasferì a Milano portò con se la madre che comunque si era poco occupata di lui e che alla sua morte le fece uno splendido funerale, mentre il padre viene citato nei suoi scritti solo nel 1503 quando ebbe notizia della sua morte “ Il 9 luglio, alle sette, morte di Ser Piero da Vinci, notaio del palazzo del Podestà, mio padre, aveva ottant’anni; ha lasciato due figli e due figlie.” Piuttosto conciso come elogio funebre, Leonardo tra l’altro si sbagliava sull’età del padre che aveva tre anni in meno.
È quindi probabile che il piccolo visse fino all’età di sedici anni a Vinci, nell’austera magione di pietra rossastra appollaiata sul pendio di una collina fra vigneti e boschetti , ancora esistente.


Leonardo frequentò dunque la scuola dell’abaco, cioè la scuola elementare e qui iniziò ad osservare il mondo che lo circondava. Era sicuramente felice, spensierato e adeguatamente protetto dalla famiglia, il padre, la matrigna e i nonni. Ma la figura sicuramente più importante fu lo zio Francesco un giovane ragazzo che il nonno descriveva come un perditempo. Leonardo aveva un bellissimo rapporto con questo ozioso membro della famiglia e con lui giocava e passava  le sue giornate spensierato per le campagne. Tra l’altro da questo caro zio Leonardo fu citato nel testamento insieme agli altri figli di ser Piero, mentre invece fu totalmente trascurato dal testamento di quest’ultimo, cosa che dimostra come non fu mai ufficialmente riconosciuto.
L’immensa curiosità che questo giovane aveva nel cuore si manifestò subito per esempio nella passione per il collezionismo. Il Vasari a questo proposito scrive nelle sue Vite un episodio molto curioso. Il fatto presumibilmente avvenne nel 1469 l’anno in cui Ser Piero si trasferì a Firenze assieme alla nuova moglie, grazie alla nomina di notaio per la Signoria. Leonardo aveva diciassette diciotto anni.
“Un giorno, mentre erano in campagna, il notaio Piero da Vinci ricevette la visita di uno dei suoi fattori che aveva costruito un rondaccio ( una specie di scudo) dal legno di un fico abbattuto sulla sua terra, e gli chiese di farlo dipingere a Firenze. Il notaio acconsentì prontamente…e senza dirgli alcunché riguardo alle sue origini, affidò l’oggetto a Leonardo perché lo dipingesse. Notando che l’oggetto era incurvato e modellato rozzamente, Leonardo lo raddrizzò nel fuoco e lo diede ad un tornitore che ne trasformò la superfice grezza rendendola perfettamente uniforme e levigata. Quindi il pittore la rivestì di un fondo di sua invenzione, e incominciò a meditare su cosa potesse dipingervi per spaventare il nemico.


Pensando a questo problema, Leonardo si sistemò in una stanza alla quale solo lui aveva accesso, e procedette a raccogliere lucertole di ogni tipo, serpenti, farfalle, grilli, pipistrelli e altri strani animali; messi insieme questi elementi disparati, creò un mostro spaventoso che emetteva fumi velenosi in ogni direzione. Quindi lo rappresentò mentre emergeva da un oscuro antro nella roccia emettendo veleno dalle mascelle spalancate, fumo dalle narici, e fuoco dagli occhi, un mostro davvero orrendo. Era talmente concentrato nel lavoro da non notare neppure la puzza degli animali in decomposizione che ammorbava l’aria nella stanza. Finalmente l’opera era compiuta, ma ne il contadino ne suo padre avevano chiesto nulla a riguardo; così Leonardo invitò suo padre a prendersi lo scudo quando voleva. Piero arrivò una mattina e bussò alla porta della stanza, apparve Leonardo che gli chiese di aspettare mentre posizionava lo scudo in una buona luce sul cavalletto, e chiuse le imposte per oscurare la stanza quindi invitò il padre ad entrare. Ser Piero rimase sconcertate quando lo vide, senza rendersi conto che stava guardando lo scudo e tantomeno un dipinto. Si ritrasse, ma Leonardo lo lo trattenne dicendo: “Fa ciò che deve; prendilo, un’opera d’arte fatta per questo.” Questo commento fece una grande impressione a Ser Piero che apprezzò il sottile ragionamento del figlio.
Non facendone parola, si recò da un mercante e acquisto un altro scudo che rappresentava un cuore trapassato da una freccia e lo diede al contadino, che gli fu grato per il resto della vita. Quindi vendette in segreto il lavoro di suo figlio a mercanti fiorentini per cento ducati, che poco tempo dopo lo rivendettero al duca di Milano per trecento ducati.”

Leonardo come figlio illegittimo non sarebbe mai potuto diventare notaio come il padre, sarebbe stato forse un buon fattore o un aiutante dello zio se non fosse che il padre, nonostante la distrazione nei suoi riguardi, si fosse accorto della sua abilità nel disegno e quindi forse nel 1468 (o forse 1466) Leonardo fu mandato a bottega a Firenze presso lo scultore e pittore Andrea di Francesco di Cione, il Verrocchio (1435- 1488) e qui rimase per quattro o cinque anni. A quei tempi andare a bottega era considerato un lavoro da poco, che sicuramente lo faceva scendere di molto nella scala sociale, ma senza questo…probabilmente non avremmo avuto il nostro caro Maestro.
I maestri dell’epoca erano infatti considerati come semplici lavoratori su commissione e Leonardo iniziò come lavorante e aiutante. Qui Leonardo incontrò molti spiriti eletti, artisti, committenti prestigiosi, e uomini intellettuali. Accanto a lui, a fare i giovani apprendisti  troviamo Botticelli, il Perugino, Domenico Ghirlandaio e tanti altri. Insomma le persone che renderanno immortale la nostra storia artistica.  Arrivano così per il giovanissimo opportunità impensabili nel suo piccolo borgo di nascita. Per inciso Firenze a quel tempo era governata da Lorenzo il Magnifico, grande sostenitore delle arti, uomo colto e raffinato, ma allo stesso tempo questa era un’epoca cruenta dove lotte per il potere si succedevano rapidamente, lo stesso Lorenzo del resto era arrivato al potere grazie alla “congiura dei pazzi”;  i congiurati avevano ucciso suo fratello Giuliano,  e lui si trovò a succedergli nel governo della citta. La sua vendetta fu spietata , uno dei congiurati, il Baroncelli, viene raggiunto a Costantinopoli e riportato a Firenze dove venne processato e condannato  all’impiccagione all’interno del palazzo di giustizia. Tra la folla vi era anche Leonardo che ritrasse in uno dei suoi taccuini la scena.
Leonardo imparò quindi alla bottega del Verrocchio a lavorare i metalli, si appassionò ai vari marchingegni, il disegno, la scultura ma la pittura rimaneva l’arte più ambita, il Maestro affidava ai giovani alcune parti di secondo piano nelle sue opere come ad esempio i fondali a seconda del loro livello di preparazione.  A tal proposito è bene ricordare un curioso episodio che nel quadro del Verrocchio il “Battesimo di Gesù Cristo” l’angelo di sinistra è tradizionalmente attribuito al Leonardo , il Vasari ci dice che il Verrocchio dopo aver visto l’angelo dipinto da Leonardo e averlo paragonato al suo  decise di ” non toccar più pennello” sicuramente non fu così ma questo  è indice di quanto Leonardo fosse bravo. Il Vasari, di cui ho appena accennato,  scrisse “Le vite dei più eccellenti scultori e architetti” dedicando ovviamente una parte a Leonardo del quale ci racconta che oltre a questo grande talento aveva anche un straordinaria bellezza e prestanza fisica raccontando  che era capace di piegare un ferro di cavallo con una semplice torsione delle mani, in più imparò a cantare a suonare il liuto e si intendeva di vino come sappiamo da alcuni scritti in cui si lamentava con i contadini per alcune caraffe di vino spiegando loro addirittura come fare per dargli un vino più buono.
Oltre a questo Leonardo scrisse molto e dai suoi taccuini si capiva che percepiva se stesso come qualcosa di diverso o altro rispetto a ciò che lo circondava. Lui fu per tutta la sua vita così, diverso, sopra le righe, un uomo alla ricerca che passa osserva e lascia il suo marchio indelebile. Leonardo era dunque consapevole di chi era? Consapevole di avere una mente al di sopra della normale percezione delle cose??? Sicuramente non si mescolò mai a coloro che si accontentavano di pensare come tutti gli altri coltivando la sua separatezza dalla mondanità. Pensato così Leonardo sembrerebbe un escluso dalla società una sorta di bohemien del rinascimento ma lui invece non fu nemmeno questo, la sua intelligenza acuta e leggera, la bellezza, l’eloquenza e i suoi innumerevoli talenti conquistavano facilmente il cuore e la mente di tutti quelli con cui veniva in contatto Ma ciò che più sorprende di questo grande genio è la sua straordinaria capacità visionaria e intuitiva la sua volontà vera di percepire la natura nel suo intimo e capirne i “funzionamenti” scriveva “…colui che si aspetta dall’esperienza ciò che è assente da essa, lascia la compagnia della natura e della ragione…” e ancora “…In natura non v’è effetto senza  causa: basta comprendere la causa e si può fare a meno dell’esperienza.”


La natura come vera maestra per Leonardo che vedeva nella vita un’inesauribile fonte di meraviglia. Vi era poi in questo straordinario uomo una grande capacità di silenzio interiore e solitudine, una forza quasi mistica. Ma nonostante tutte queste qualità Leonardo venne sempre escluso dai circoli dei dotti in quanto ritenuto uomo senza lettere, perché non aveva ricevuto quella che noi definiremmo un’educazione “classica” e questo fu sempre per lui motivo di preoccupazione “Sono pienamente consapevole del fatto che, non essendo uomo colto, certi presuntuosi ritengano di potermi rimproverare la mia presunta ignoranza! Stupidi pazzi! Diranno che la mia ignoranza delle lettere mi impedisce di esprimere adeguatamente il mio punto di vista sugli argomenti che discuto. Ma l’esposizione dei miei soggetti richiede più il supporto dell’esperienza che dell’autorità. E poiché l’esperienza è stata la maestra di chi scrive bene, la sceglierò come mia maestra e ad essa mi rifarò in ogni circostanza. Molti mi considereranno biasimevole perché le prove che io porto contraddicono l’autorità di certi autori il cui giudizio, non verificato dall’esperienza, tengono in grande considerazione, senza pensare che le mie conclusioni sono il puro e semplice risultato dell’esperienza, la vera maestra…”


Nonostante queste sue affermazioni  a trent’anni decise da autodidatta di imparare a studiare greco e latino, che comunque non giunse mai a padroneggiare. Incominciò anche a meditare sulle grandi opere di alcuni tra i più importanti filosofi quali Platone e Aristotele, ma comunque alle idee astratte predilì sempre la concretezza dell’osservazione empirica, dello studio come  fine alla scoperta.
Leonardo fu un vero precursore in molti studi, da quelli sul volo fino a quelli sull’anatomia ma pochi conoscono gli studi in cui fu veramente un precursore, come per esempio per lo studio della geologia;  fu infatti il primo a capire cosa fossero i fossili e perché si trovassero dei fossili marini in cima alle montagne. A quell’epoca molti pensavano che si formavano con i fulmini o che si formavano come le rocce nel sottosuolo, altri invece li ritenevano prove del diluvio universale  Leonardo invece aveva idee ben precise e se le fece camminando vicino a Vinci, in un luogo chiamato Taglio di Colegonzoli dove i fossili emergono in abbondanza ancora oggi. Pensava che così come il corpo umano ha un suo sistema sanguigno,  la terra ha una propria circolazione composta da masse d’acqua che con lentissimi movimenti e cambiamenti modificano l’aspetto della terra, quindi non era strano per lui che sulla più alta delle montagne un tempo vi fosse il mare.
Come tutti sappiamo poi Leonardo aveva l’abitudine di portare con se un taccuino per riprendere scene di vite quotidiana e cose che riteneva interessanti, volti, piante, paesaggi. Nei suoi appunti troviamo ad esempio molti nasi nella loro grande varietà, e sempre per strada trovava i modelli per i suoi dipinti e in essi trovava il sublime e l’abbietto. Inventò quindi  anche la caricatura, rappresentava infatti i volti di personaggi a lui antipatici accentuandone i difetti fino allo stremo così da creare il ridicolo. Quindi un vero e proprio anticipatore anche nel campo “leggero” della satira.
Ma torniamo alla storia pura e semplice Leonardo passa a Firenze quasi 14 anni, ma di questo periodo non abbiamo nessuna opera pittorica. L’apprendistato era una cosa lunga e difficile. Passava almeno un anno, prima che lo studente potesse toccare la tinta con il pennello. Nel 1472 il nome “Lionardo” appare nel registro della compagnia di San Luca, come veniva chiamata la Gilda dei pittori indicato come “Lionardo di Ser Piero da Vinci dipintore”, aveva vent’anni e , pagata l’iscrizione alla gilda poteva aprire una propria bottega.
Ma probabilmente per problemi finanziari decise di rimanere ancora con il Verrocchio, dove le sue responsabilità divennero sempre più grandi. Si occupava per esempio di collaborare all’elaborazione dei cortei organizzati in onore di notai fiorentini o di dignitari in visita. In questo periodo comunque sappiamo che non aveva più contatti con la famiglia, solo con lo zio Francesco, in più  la situazione di figlio illegittimo gli ha creato difficoltà con i  fratellastri ma qui Leonardo  ebbe problemi anche con la giustizia a causa del famoso caso Santarelli.
Siamo nel 1476 e in due occasioni Leonardo venne denunciato…

                                   …continua….